Le riserve auree dello Repubblica italiana appartengono al popolo

In un articolo del Corriere della Sera apparso oggi viene riportato l’emendamento sulle riserve auree italiane, frutto di una lunga trattativa tra governo, Banca d’Italia, Bce e Commissione europea, affermerà che «le riserve auree appartengono al popolo italiano e sono gestite in autonomia dalla Banca d’Italia».
Il cambiamento ha valore solo simbolico: l’oro (2.452 tonnellate, circa 300 miliardi) continuerà a essere custodito e amministrato da Bankitalia, organismo indipendente del sistema Bce, senza alcuna modifica operativa.

Fratelli d’Italia, sostenuta anche dalla Lega, considera l’emendamento una vittoria politica e una “bandierina” da sventolare, soprattutto in una manovra non espansiva.
La prima versione, che dichiarava l’oro “posseduto dallo Stato italiano”, era stata criticata da Bce, Commissione, Bankitalia e Tesoro per i possibili fraintendimenti.
Il governo ha quindi lavorato a una formula più accettabile, evitando conflitti istituzionali.

Nel 2019 FdI aveva già tentato di affermare la proprietà statale dell’oro e di chiedere il rientro delle riserve detenute all’estero, punto ora abbandonato.
Nonostante l’assenza di effetti pratici, Palazzo Chigi considera l’emendamento un successo simbolico all’interno della manovra.

Nel contesto geopolitico contemporaneo, segnato da tensioni crescenti, guerre regionali, competizione strategica tra grandi potenze e crescente volatilità dei mercati finanziari, le riserve auree tornano ad assumere un ruolo centrale nella sicurezza economica degli Stati. L’oro, infatti, rimane uno degli strumenti più solidi di tutela della sovranità monetaria e finanziaria, anche nell’epoca delle valute digitali e dell’economia globalizzata.

A differenza delle valute fiat o dei titoli sovrani, l’oro non dipende dalla solidità di un singolo Paese o da un sistema economico specifico. È un bene universale, riconosciuto e accettato in tutto il mondo, che mantiene valore anche quando le valute oscillano o i mercati subiscono shock improvvisi. Per questo, nei momenti di crisi internazionale o di instabilità geopolitica, le banche centrali tendono storicamente ad aumentare le proprie riserve auree come forma estrema di protezione.

Negli ultimi anni, molte potenze emergenti — dalla Cina alla Russia, passando per l’India e diversi Paesi mediorientali — hanno intensificato l’acquisto di oro proprio per ridurre la dipendenza dal dollaro e costruire un paracadute strategico in caso di blocchi commerciali, sanzioni o conflitti finanziari. Il metallo prezioso diventa così non solo una garanzia economica, ma anche uno strumento geopolitico: un mezzo per rafforzare l’autonomia e aumentare il proprio peso nei rapporti internazionali.

Per gli Stati europei, Italia compresa, le riserve auree rappresentano un pilastro di stabilità. In uno scenario in cui si moltiplicano rischi legati all’energia, alla sicurezza informatica, alle catene di approvvigionamento e alla competizione militare, l’oro resta una riserva di valore non aggirabile, immune dalle decisioni di governi stranieri o da eventuali crisi del sistema monetario internazionale.

Infine, le riserve auree possiedono anche una valenza psicologica e politica: rafforzano la credibilità di un Paese agli occhi degli investitori e delle istituzioni internazionali, contribuendo a sostenere la fiducia nella sua capacità di far fronte ai debiti e di difendere la stabilità finanziaria nazionale.

In un mondo dove la geopolitica è tornata a influenzare pesantemente l’economia, l’oro riafferma dunque la sua funzione millenaria: essere la più sicura delle ancore in un mare globale sempre più agitato.